La Gazzetta Ufficiale dello Stato ha pubblicato un decreto del Ministero della Salute che stabilisce la quantità massima di THC che possono avere gli alimenti realizzati con semi di cannabis, farina o olio.
Gli alimenti realizzati nel Paese con ingredienti derivati dalla marijuana legale, come pane, dolci o birra, potranno raggiungere le tavole degli italiani grazie a un tanto atteso decreto che per la prima volta stabilisce i limiti per la sostanza psicotropa . L’Italia ha una legge dal 2016 che consente alla coltivazione della cannabis «sativa» di produrre, tra l’altro, cosmetici, fertilizzanti, materiali da costruzione biologici, prodotti tessili, combustibili da biomassa, fertilizzanti e anche alimenti e bevande .
Tuttavia, per produrre prodotti commestibili, è stato necessario prima chiarire i limiti consentiti per il tetraidrocannabinolo (THC), la sostanza psicoattiva nella cannabis. E questo è quello che è appena successo. La Gazzetta Ufficiale dello Stato ha pubblicato un decreto del Ministero della Salute che stabilisce la quantità massima di THC che possono avere gli alimenti realizzati con semi di cannabis, farina o olio .
Nel caso di farina ottenuta con semi o integratori vegetali, può avere solo 2 milligrammi per chilo, mentre l’olio non può superare i 5 milligrammi per la stessa quantità. L’entrata in vigore del decreto è stata molto celebrata dal settore, in quanto aprirà le porte di un mercato finora chiuso per gli agricoltori italiani, spiega Stefano Masini, esperto di diritto agrario dell’associazione coltivatori “Coldiretti” a Efe.
IL PARADOSSO ITALIANO DEI CIBI A BASE DI MARIJUANA LEGALE
La verità è che in Italia si potevano già trovare pasta, biscotti, dolci o altri prodotti con derivati di questa controversa pianta, ma provenivano da altre parti dell’Unione Europea (UE) . Nel frattempo, gli agricoltori italiani non potevano produrre questo tipo di alimento per entrare nel mercato fino a quando non fossero stati stabiliti i limiti massimi legali della sostanza psicoattiva.
In questo modo si creava il paradosso che chiunque potesse acquistare biscotti a base di cannabis – a basso contenuto di THC – a Roma o Milano, fatti ad Amsterdam o a Parigi , ma non fatti sul suolo italiano. Ciò è dovuto, sottolinea Masini, al principio del reciproco riconoscimento del mercato unico europeo, che consente la libera circolazione dei prodotti nel continente senza che sia necessario armonizzare le diverse legislazioni dei suoi Stati membri.
ALCUNE ASPETTATIVE IN CRESCITA
La possibilità di competere con altri alimenti derivati da questa pianta dall’estero apre nuove opzioni per le aziende e le fabbriche italiane e si prevede un aumento dei raccolti. Già negli ultimi cinque anni, dopo l’approvazione della suddetta legge, le estensioni della cannabis si sono moltiplicate per dieci in tutto il Paese, da nord a sud, fino a quasi 4.000 ettari, secondo i dati 2018 stimati da Coldiretti.
Attualmente l’Italia conta circa 3.000 stabilimenti dedicati alla coltivazione della pianta che impiegano circa 10.000 persone. Una tendenza al rialzo che dovrebbe continuare perché le opzioni sono enormi: da biscotti, panini, farina e olio, formaggi, cosmetici, mobili per la casa, combustibile per riscaldamento o isolamento per le principali «biocostruzioni».
Questi dati sono però solo l’ombra delle estensioni del passato: fino alla metà del XX secolo l’Italia era il secondo produttore di canapa al mondo, dopo la Russia, con fino a 100.000 ettari, secondo i dati della Confederazione Italiana degli agricoltori (CIA) . La destinazione principale era una vigorosa industria tessile tra gli anni ’30 e ’40 che progressivamente scomparve con l’arrivo dei tessuti sintetici, ricorda Masini.
Anche la Cia ha plaudito a questo decreto consentendo agli agricoltori di “operare con maggiore trasparenza e minore incertezza”, nonostante i limiti fissati siano troppo bassi, e chiede di alzarli per essere “più competitivi sul mercato”. Affermano inoltre che questo tipo di coltura riduce l’erosione del suolo e offre una produzione “versatile”.
LO SCOPO RICREATIVO, ESCLUSO DALLE COLTURE
Una cosa diversa è la finalità ricreativa Si può fumare cannabis in Italia ? La legge non contempla l’uso “ricreativo” della coltivazione della cannabis, come fumare la sua infiorescenza, il “germoglio”, ma la sua eventuale legalizzazione di solito alimenta ogni due per tre il dibattito politico. La normativa consente la commercializzazione di prodotti a bassa concentrazione di THC (fino allo 0,5%) perché non considerati droghe, motivo per cui i cosiddetti negozi di “marijuana legale” sono proliferati in tutto il Paese, con non poche critiche.
Lo scorso dicembre la Suprema Corte ha sorpreso ribaltando la dottrina fino ad oggi difesa e stabilendo che non è reato “coltivare piccole quantità” privatamente purché destinate al consumo personale e non alla vendita, poiché lo spaccio è una pratica che l’Italia punisce gravemente con carcere e multe salate.
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