La regolamentazione globale della cannabis in Spagna sembra andare avanti da molto tempo. La posizione retrograda in cui è ancorato il PSOE non ci permette di avanzare lungo la via del progresso. Ciò è stato evidente nello spregevole discorso con cui il deputato socialista Daniel Viondi ha giustificato il rifiuto del suo partito di ammettere la prima delle proposte legislative da regolamentare.
Nel frattempo, i consumatori di cannabis –11% della popolazione–, perfettamente integrati nella società spagnola, continueranno a non poter accedere alla sostanza con garanzie legali e sanitarie. Viene addirittura negato loro di poter coltivare per il proprio consumo che non dia fastidio a terzi.
L’incertezza giuridica è grande e le leggi vigenti danno luogo a una moltitudine di interpretazioni, con la conseguente disparità di criteri utilizzati dai giudici. Lo dimostra l’esistenza di decisioni giudiziarie, che talvolta condannano e altre assolvono, con argomentazioni tra loro contraddittorie.
Alla confusione prevalente si aggiunge che una parte dell’accusa è convinta che tutte le attività di semina e distribuzione, praticate dai social club di cannabis, costituiscano un reato e che la famosa teoria del consumo condiviso non sia applicabile. Un criterio che convive con quello di consentire, da parte della stessa Procura, di registrare un’associazione cannabica ai fini della coltivazione condivisa ad uso dei propri soci.
Come è noto, la sicurezza giuridica è caratteristica dello stato di diritto, una delle caratteristiche essenziali che lo differenziano da una repubblica delle banane. Le nuove leggi che regolano l’accesso alla cannabis dovranno riconoscere, tra l’altro, il diritto all’auto-coltivazione.
Non si tratta di un provvedimento strano, ma di una diretta conseguenza del fatto che secondo la Suprema Corte una coltura per autoconsumo, anche se condivisa, non ha rilevanza penale. Almeno così ha evidenziato l’Alta Corte nella sua sentenza n. 484/2015: “La coltivazione ‘condivisa’ di cannabis destinata all’uso esclusivo ed esclusivo di coloro che promuovono su scala ridotta questa produzione, anche se non è un’attività legale, può mancare di rilevanza penale a determinate condizioni”.
La ST non si ferma a definire queste determinate condizioni. Potrebbero benissimo verificarsi nell’ipotesi di alcuni utilizzatori associati – tanti quanti ne dà la coltivazione del partner giardiniere -, interpretando una produzione di 150 chilogrammi all’anno come una scala ridotta, come recita la legge catalana delle associazioni di cannabis e come ha dichiarato la maggior parte dei progetti di legge presentati al parlamento spagnolo.
L’obiettivo ora non è altro che porre fine all’insicurezza legale e avanzare lungo il percorso democratico attraverso una regolamentazione completa della cannabis. Riuscirà il PSOE a capirlo e remare a favore del progresso o continuerà a fare causa comune con le forze più reazionarie?
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